Il linguaggio mafioso, dalle lettere dei campieri ai social
Data di pubblicazione: 07/01/2018 | 0 Commenti

«Non solo omertà, Cosa Nostra ha sempre comunicato»

Studiare il linguaggio mafioso per scoprire il modus operandi interno alle cosche e i metodi con cui per anni ha agito l’organizzazione criminale. È l’obiettivo di Giuseppe Paternostro che a MeridioNews presenta il suo libroLinguaggio mafiososcritto, parlato, non detto. Il libro è il primo della collana I Saggi edito da Aut Aut Edizioni.

Omertà non significa silenzio totale – spiega –. La mafia in realtà ha sempre comunicato, non solo col silenzio ma soprattutto con i fatti, le parole, sia con lo scritto che col parlato.

Dai pizzini di Provenzano alle lettere di scrocco. Nel suo saggio Paternostro fa un excursus storico che parte dai primi anni del ‘900 e arriva fino ai giorni nostri. «I pizzini non sono l’unico esempio di scrittura mafiosa – racconta lo scrittore –. Già alle origini di Cosa nostra, i proprietari di fondi costretti a pagare il pizzo ricevevano le lettere di scrocco, ovvero lettere minatorie chiamate così per la prima volta dal funzionario di polizia Antonino Cutrera, a inizio ‘900, caratterizzate da un italiano fortemente sicilianizzato e concepite per comunicare con l’esterno».

Paternostro passa in rassegna anche il linguaggio adottato dai figli dei boss Provenzano e Riina. «Anche loro si sono mossi su questa linea. Da una parte dicono di non avere a che fare col mondo dei loro padri, dall’altra è come se chiedessero all’organizzazione di lasciarli fuori dai gioch. In cambio loro non rinnegano niente e non si pentono.

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  • Data di pubblicazione:07/01/2018
  • Testata: MeridioNews
  • Autore dell’articolo: Danilo Daquino

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